sabato 7 aprile 2018

Il 99,99% delle forze dell'ordine è formato da persone speciali, poi ci sono le piccole rimanenze, briciole inutili come quelle che hanno pestato Tommaso De Michiel


Tommaso e Nicolò De Michiel
Venezia, notte del 2 aprile 2009, è da poco passata l’una. Tommaso e Nicolò stanno tornando a casa, sono a poche centinaia di metri dall’abitazione di famiglia, litigano animatamente, Tommaso l’ha fatta grossa e Nicolò vuole assolutamente che racconti tutto ai genitori. In quel momento passa un motoscafo della polizia per un normale controllo, il faro accesso illumina i due fratelli, la volante accosta vicino ad un’altra barca e scendono 4 agenti. Iniziano i controlli, Tommaso non ha documenti, il ragazzo fornisce le sue generalità, il fratello le conferma, precisano anche di essere figli di un loro collega, verifiche alla centrale. Il capo pattuglia se ne sta un po’ lontano, è il più tranquillo, gli altri tre agenti circondano invece Tommaso, piccole spinte, sempre più vicini, lo pressano. Volano male parole, reciproche. Trascorrono circa venti minuti e alla fine il ragazzo viene caricato sulla barca per essere portato in questura.
- Ma cosa fate? - chiede Nicolò.
Stai zitto, se no, vieni in questura anche tu!-
- Sì vengo anch’io

Tommaso nel salire sulla barca scivola, barcolla. Gli agenti diranno poi che voleva scappare, prendere il mitra che hanno lasciato incustodito sul mezzo e fuggire con il motoscafo. Quindi viene subito ammanettato e buttato a terra. Qui prende la prima serie di calci e pugni. Una signora vede tutto dalla finestra e spiega nella memoria difensiva raccolta dall’avvocato: “Sembrava un normale controllo, i due ragazzi erano tranquilli, poi uno dei due l’hanno scaraventato sulla barca e gli hanno messo le manette. - Che cosa fate, ho urlato, non ha fatto niente! ho urlato –Non si preoccupi, prego, prego – mi hanno risposto in modo burbero. Poi il motoscafo se n’è andato a tutta velocità”. 

In questura succede subito un episodio strano, che con po’ di malizia si può interpretare come provocatorio, nel senso letterale e non figurato del termine. Nicolò, il fratello maggiore, quello calmo e ragionevole, viene bloccato, seduto a terra, braccio legato alla sbarra. Tommaso invece, che è molto agitato, braccia ammanettate in avanti, è libero di muoversi. Attorno a lui c’è una decina di agenti. Un uomo in divisa gli sferra un potente calcio ai testicoli, il ragazzo cade a terra e grida:
-Maledetti, me la pagherete!-Un secondo agente allora lo calpesta con gli anfibi e così lo apostrofa:
- Taci, zecca comunista , ora hai smesso di rompere i coglioni.
- Siete dei fascisti – risponde Tommaso

Nicolò vede tutto da una stanza vicina e urla:

- Ma che cazzo abbiamo fatto, fateci parlare con qualcuno

La reazione del fratello non è gradita e in tutta risposta anche per lui ci sono calci agli stinchi e viene chiuso dentro alla stanza, perché non possa più vedere nulla. Ma Nicolò sente, urla forti, poi rantoli, poi nulla. Cerca di togliersi le manette e prendere il cellulare. Altro particolare “fuori norma”: perché i due ragazzi fermati e ammanettati non sono stati perquisiti? Gli lasciano tutto in tasca: le chiavi di casa, il portafoglio, l’ipod, il telefono. Ma essendo considerati delinquenti non potevano nascondere coltelli o altri oggetti pericolosi? E’ normale arrestare qualcuno senza perquisirlo? Che procedura è mai questa? In che stato erano quella notte alcuni agenti?

Fatto sta che Nicolò, fresco di tesi di laurea sui Bizantini a Venezia tra cinque e seicento, riesce a divincolarsi e ad estrarre dalla tasca dei calzoni il cellulare. Chiama i genitori:

- Correte in questura, hanno ammazzato Tommaso

La casa è a poche centinaia di metri dalla Questura. E’ ancora sulle scale di casa la mamma, quando preventivamente chiama il 118. Cinque minuti e sono in Santa Chiara. Il padre mostra il tesserino al piantone:

- Sono un collega, devo andare alle volanti -

La moglie lo segue e in un angolo del chiostro della questura, vedono il figlio minore disteso a terra, una decina di poliziotti attorno. Ha il giubbotto e in un primo momento non notano le manette, ma vedono che il volto è una maschera di sangue.

- Ma cosa succede, siamo in un film americano? – grida la mamma che si getta sul figlio disperata. E ancora:
- Ma lo avete picchiato voi, lo volevate picchiare ancora?

La risposta prevede un imperturbabile silenzio, rotto però dall’altro fratello che sente la voce della mamma.

- Sono matti! – urla dal chiuso della stanza Nicolò.
- Dov’è l’altro figlio? – chiedono i genitori

Un poliziotto indica la stanza, il padre apre la porta e vede Nicolò ancora in manette alla sbarra.

- Si possono togliere queste manette? – chiede Il collega sulla porta fa un cenno di consenso e ordina ad un altro:

- Vabbè, dagli la chiave

E’ una procedura normale anche questa? Padre o collega che sia, uno entra in questura, vede il figlio in manette, e se ce le ha si suppone che sia sospettato di un reato, e su richiesta diretta ottiene addirittura le chiavi per liberarlo?

Nicolò libero è una furia scatenata, si lancia inveendo contro i poliziotti:

- Io vi denuncio, datemi voi ora le vostre generalità, vediamo se adesso avete il coraggio di picchiarci, papà parlaci tu con loro.

Come prima. Alle provocazioni non si replica, si risponde solo con gesti di scherno, sorrisetti e scrollate di spalle. Alcuni agenti se ne vanno come a voler declinare responsabilità. Nel frattempo l’ambulanza di terra non è ancora arrivata e la mamma effettua una seconda chiamata. Passano ancora alcuni minuti e finalmente il 118 parcheggia sotto la questura, gli infermieri scendono, ma non per prendersi cura dei due ragazzi, intrattengono un lungo colloquio con alcuni agenti. La spiegazione ufficiale è questa : 

C’è un problema burocratico, non è stata avvisata l’ambulanza di competenza, la titolarità dell’intervento è di Mestre”. 

Ed è così che infine arriva l’idro-ambulanza. Si va all’ospedale? E’ ancora presto, c’è ancora un delicato ostacolo da risolvere. Dice testuale il capo-pattuglia:

- In casi come questi, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, ingiurie, li avremmo portati direttamente in carcere. Ma visto che sono figli di un nostro collega ci limitiamo ad una sanzione amministrativa-.

La notifica che i due fratelli dovrebbero firmare specifica che “sono stati trovati in stato di evidente ubriachezza come risulta dall’alito e dalle frasi sconnesse”. Nicolò non ci sta, lui tra l’altro non aveva nemmeno bevuto, e poi d’altronde erano a piedi, in strada, non urlavano, erano quasi sotto casa.

- Io non sono ubriaco, dice, fatemi l’alcoltest per controllare. –

Alcoltest cercasi, la questura di Venezia non lo dispone, almeno questo rispondono a Nicolò.

Senza firmare i due fratelli riescono comunque ad imbarcarsi sulla idro-ambulanza e si accorgono fra altro che anche la prima ambulanza è ancora in questura. Sul pontile la mamma incrocia un agente in borghese, la domanda è maliziosa:

- Perché è ancora lì l’altra ambulanza, non c’è un problema di competenza anche per voi? O forse è lì perché gli agenti vogliono farsi refertare, ma io li ho visti, stanno tutti bene.-

Quella notte nella questura di Venezia si sprecano i sorrisi ironici, specie nelle risposte.

I referti dell’ospedale di Venezia accertano questo:

Tommaso De Michiel, 25 anni, una costola rotta e una incrinata, ematoma ai testicoli, trauma facciale, emorragia ad un occhio, labbra tumefatte, lesioni ai polsi provocate da trascinamento. I genitori chiedono espressamente di sottoporre Tommaso a un esame tossicologico: negativo il test antidroga, tasso alcolemico 1 grammo per litro. Viene dimesso il giorno dopo con 40 giorni totali di prognosi.

Due giorni dopo, il sabato successivo ai fatti, gli amici dei due fratelli organizzano una manifestazione di solidarietà in Campo Santa Margherita. Alcuni video hanno registrato tutto quello che è successo ed è stato detto in quella piazza. Tommaso parla al microfono, ma non descrive quello che è accaduto, non se la sente, non vuole nemmeno farlo, non cerca commiserazione, forse si vergogna pure. I toni sono civili, non una parola contro la polizia, chiede solo che sia fatta giustizia e che siano individuati i responsabili. Non riesce ad aggiungere altro, ringrazia gli amici e come a chiedere sostegno, così chiude il discorso:

- Lascio il microfono a mio padre che è un poliziotto.-

Un poliziotto non può parlare in pubblico senza permesso, specie in una manifestazione non autorizzata, che anzi sarebbe stato suo dovere segnalare. Questo prevede il regolamento. Ma in quel momento Walter ha solo una divisa, la più importante, quella di padre e ai coetanei del figlio dice:

- Io mi dissocio da quanto è accaduto negli uffici della Questura di Venezia la notte del 2 aprile. Ma volevo anche dirvi che la polizia non è quella, anzi la maggior parte di noi rispetta e segue le regole e le leggi. Noi lavoriamo in condizioni difficili, sottopagati con pochi mezzi. Questa iniziativa non è un attacco alle forze dell’ordine.-

Per questo l’ispettore capo della polizia di frontiera di Venezia ha subito un procedimento disciplinare, che ha sancito prima il licenziamento, poi commutato a sei mesi di sospensione a metà stipendio.

Iter giudiziario
E' in corso il processo di primo grado, un processo che il giudice in udienza preliminare definì“non è prioritario” e che accettò solo una minima parte dei testimoni convocati dalla parte civile (solo 8 su 30) e 10 di quelli presentati dalla difesa degli agenti.

Sul banco degli imputati figurano anche cinque agenti di polizia, accusati di aver provocato lesioni a due giovani che erano stati fermati e poi trasferiti in Questura per l'identificazione. I fratelli Tommaso e Nicolò De Michiel, sono imputati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate per aver reagito con violenza all'intervento delle Volanti, provocando ai poliziotti contusioni e ferite. Entrambi sono accusati anche di ingiurie per una serie di offese rivolte agli agenti. La Procura contesta il reato di ingiuria e minaccia alla madre dei due ragazzi, in relazione ad una serie di frasi rivolte agli agenti. Mentre Tommaso De Michiel e il padre Walter (a sua volta poliziotto) sono accusati di diffamazione per una serie di pesanti dichiarazioni rese nei giorni successivi contro i poliziotti.

Esito dell'iter giudiziario. In primo grado condannati quattro agenti e assolta la famiglia De Michiel

Pestaggio dei fratelli De Michiel, condanne per quattro agenti

2 commenti:

magica ha detto...

eppure questi personaggi sono mariti ,padri di famiglia , oppure figli amorevoli .
certe volte furbacchini , ESISTONO . e sono bravi con gli extra,perhe difficilmente verranno a lamentarsi dopo aver preso tante di quelle botte .

robert fanny ha detto...

Thanks great blog posst